"Guardate com’è sempre efficiente / come si mantiene in forma / nel nostro secolo l’odio". I versi liberi della poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996, hanno la forza di essere purtroppo sempre attuali. Alimentato da stereotipi e pregiudizi, l’odio talvolta si esprime in discorsi odiosi e discriminatori nei confronti di chi viene percepito come “diverso” sulla base dell’etnia, della religione, la provenienza, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche.
Il discorso d’odio, o hate speech, è una questione annosa e ampiamente dibattuta, che chiama in causa una pluralità di dibattiti. In primo luogo, vi è la difficoltà definitoria del fenomeno: sebbene non sia facile trovare consenso sulla definizione di “odio”, questo concetto si presenta "utile per indicare la galassia degli ‘anti’, degli ‘ismi’, delle ‘fobie’, inglobando al suo interno le forme specifiche a seconda del gruppo bersaglio" (Report Categorizzare le forme di odio. Antisemitismo, islamofobia, antigitanismo).
Nel report Categorizzare le forme di odio. Antisemitismo, islamofobia, antigitanismo – realizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore per il progetto REASON – REAct in the Struggle against Online hate speech – Stefano Pasta, Cristina Balloi e Milena Santerini propongono un’ipotesi di classificazioni delle forme di alcune manifestazioni specifiche dell’hate, in particolare dell’antisemitismo, dell’islamofobia (o sentimento antimusulmani) e dell’antiziganismo.
Le manifestazioni del contemporaneo antisemitismo – ossia il pregiudizio, l’odio o la discriminazione contro gli ebrei come gruppo etnico o religioso – possono essere raggruppate in cinque categorie: l’antigiudaismo tradizionale, l’antisemitismo neonazista/neofascista e negazionismo della Shoah, l’odio verso lo Stato di Israele, l’accusa rivolta agli ebrei di controllare l’economia e la finanza e l’odio verso gli ebrei in quanto tali, "che incita, sostiene o giustifica l’uccisione degli ebrei o danni contro gli ebrei (o edifici, oggetti o luoghi di culto) per lo più in nome di un’ideologia radicale o di estremismo religioso” (Report).
L’islamofobia, secondo la definizione dell’ECRI, è "il pregiudizio, l’odio o la paura nei confronti della religione mussulmana e/o dei musulmani." A differenza dell’antisemitismo, il pensiero anti-musulmano non è storico e strutturato, ma "si tratta di un pensiero associato a fenomeni recenti quali l’immigrazione, il terrorismo e le sfide poste dai contesti multiculturali" (Report).
Nel Report vengono identificate cinque forme del discorso islamofobo: la prima è costituita da pregiudizi in cui si promuove l’identificazione di tutti i musulmani a potenziali terroristi; la seconda forma è la xenofobia specifica verso i musulmani; la terza forma è quella definita identitario-culturale; la quarta è relativa al pregiudizio che considera l’islam per essenza anti-Occidente e la quinta forma è l’islamofobia storica.
La terza manifestazione di odio considerata è l’antiziganismo: inteso come forma di razzismo diretta contro i membri della comunità rom, sinti e camminanti, "è un fenomeno storico e culturale complesso, gravido di effetti fortemente negativi sulle condizioni di vita delle popolazioni Rom e Sinte" (Report). Sebbene dei rom si parli molto, "tale discorso non produce pluralismo, riflessione, conoscenza critica, né provoca momenti di contatto, occasioni di incontro e conoscenza interpersonale" (Report).
Le forme contemporanee di antiziganismo sono: l’antiziganismo differenzialista, secondo la quale le differenze culturali tra rom e non rom sono talmente forti da non permettere la convivenza, nonostante circa la metà di rom e sinti sia di cittadinanza italiana; l’antiziganismo per anomia, “collegata al fastidio morale verso rom e sinti per comportamenti considerati ‘tarli’ che possono corrompere la ‘corretta’ società maggioritaria” (Report); l’antiziganismo di concorrenza, inteso come “l’accusa a rom e sinti di sfruttare il welfare ‘italiano’, ricorrendo al classico tema xenofobo dell’erosione delle risorse del welfare" (Report) e l’antiziganismo di eliminazione, "che incita, sostiene l’eliminazione dei rom e sinti dalla comunità" (Report).
Infine, di fronte alla necessità di superare la definizione di odio/non odio rilevata dalle ricerche dell’Osservatorio Mediavox, i ricercatori Milena Santerini e Stefano Pasta propongono nel Report una serie di sette indicatori per classificare i contenuti online, definiti “lo spettro dell’odio online".