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Il web non è libertà d'odio

29 Aprile 2022

Occorre intervenire contro l'intolleranza social

Di Milena Santerini su la Repubblica

Di fronte agli enormi danni causati dall'odio che invade il web non ci sono risposte semplici. Ma è semplice la domanda da farsi: perché nessuno interviene?

Nonostante la diffusione di inquinamento online, che comprende disinformazione, hate speech verso gruppi bersaglio, manipolazione tossica, si assiste a una sorta di paralisi della volontà. Una prima obiezione ha riguardato finora l'idea - forte in tutti i noi -di Internet come "paradiso della libertà". In effetti lo è, e rappresenta una delle opportunità più straordinarie che l'umanità ha avuto per aprirsi al mondo, connettersi, scoprire. Ma la comunicazione via social media non coincide con Internet, è una forma di business che si colloca al suo interno. Quindi, non si tratta di "censurare la Rete" quando si dice che l'odio crea profitto, e che occorre regolare le Big Tech (Meta-Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, Google, TikTok e altre). È strumentale invocare la totale libertà d'espressione che deve essere bilanciata, come chiede la nostra Costituzione, con il rispetto dei diritti e della dignità di tutti.

Qualcuno dirà che Internet è solo lo specchio della realtà e di un odio sempre esistito tra gli esseri umani, senza bisogno che emergesse il digitale. La fin troppo reale e concreta guerra di invasione dell'Ucraina, con le bombe, le macerie, i morti e i feriti che ci riportano a un passato bellicoso e primitivo, lo conferma. Ma gli scambi e la comunicazione online, ormai è provato, sono di qualità diversa, perché per loro natura tendono ad amplificare l'odio. La stessa propaganda di guerra viene dal passato, ma oggi trova un terreno fertile nell'evoluzione della tecnica, l'uso di immagini attraenti o sconvolgenti, la manipolazione digitale dei discorsi, l'habitat adatto alle spiegazioni cospiratorie e così via. Le fake news uccidono.
Il problema principale è il mercato economico o il vantaggio politico che si è costruito sugli scambi dei social media. Questo aspetto viene messo in evidenza solo timidamente nonostante le denunce crescenti dei "pentiti" che hanno lavorato nelle Big Tech. Ne ha parlato recentemente Barack Obama all'Università di Stanford, richiamando anche le ingerenze russe nelle elezioni americane.
Il meccanismo consiste nell'occupazione del mercato dell'attenzione, merce rara e contesa. Chi ha più attenzione, followers, utenti e clic, ha più profitto, soprattutto in pubblicità. Ma per avere attenzione occorre stimolare la dimensione emozionale e non solo quella riflessiva. Tra tutte le emozioni, la rabbia e l'indignazione attraggono di più. C'è da stupirsi se i social media continuano ad utilizzare questi meccanismi senza valutare del tutto le conseguenze a cui si può arrivare?

La struttura stessa della comunicazione online deve sfruttare almeno tre meccanismi. Il primo è il bisogno di ricompensa che segue il circuito stimolo-soddisfazione. Ogni clic risponde a un bisogno della nostra mente di avere una risposta a un'azione, processo che rischia di creare dipendenza. Il secondo riguarda la dissonanza, il messaggio che contrasta con quello che già pensiamo o sappiamo. Tutta l'impalcatura dei filtri creati dagli algoritmi ci fa trovare quello che corrisponde ai nostri gusti o desideri e ci chiude nelle "bolle". Non stiamo però traendo le debite conseguenze da questa consapevolezza, su cui da tempo insistono Cass Sunstein, Jean-Louis Missika e Henri Verdier: tutto ciò indebolisce la democrazia, ci imprigiona in polarizzazioni estreme e alla fine ci spinge a non dialogare più con chi la pensa diversamente da noi. Il terzo meccanismo, quindi, è il senso di impotenza civica e il disimpegno morale che può derivare dall'idea di un mondo troppo grande per poterlo influenzare.
Uno dei pericoli più grandi deriva poi dagli attacchi ai gruppi bersaglio, non protetti dall'odio razzista o antisemita. Nel 2021, secondo ricerche europee, solo il 15% circa delle segnalazioni di grave antisemitismo, anche quando contrastano apertamente con le policy delle piattaforme, è stato rimosso.

Non è quindi da idealisti o da utopisti chiedere subito interventi, non solo a livello degli Stati nazionali, ma soprattutto dell'Unione Europea, la sola istituzione abbastanza grande per dialogare con Usa e le Big Tech. Il Digital Service Act di prossima approvazione potrà darci importanti orientamenti per controllare i meccanismi di moderazione e rimozione dei contenuti di odio. In Italia, il problema è stato posto a proposito della lotta all'antisemitismo e da parte dell'Unar a livello della Presidenza del Consiglio. La Commissione Jo Cox contro l'odio e l'intolleranza della Camera dei deputati aveva chiesto con forza, nella XVII Legislatura, interventi che ancora tardano ad arrivare. Ora, le possibilità di un'azione sistemica sono nelle mani della Commissione per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza istituita al Senato su proposta di Liliana Segre. Il tema dell'hate speech online è al centro del suo lavoro e potrà convincere le istituzioni, i media e l'opinione pubblica che è tempo di intervenire.

L'autrice è coordinatrice Nazionale per la lotta contro l'antisemitismo - Presidenza del Consiglio

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