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Il teorema dei “profughi finti e i profughi veri” alimentato dai discorsi d’odio

31 Maggio 2022

Su Openpolis

Fin dall’inizio della guerra in Ucraina si è diffusa l’idea secondo cui i rifugiati del paese ex sovietico sarebbero i “veri profughi”, diversamente da chi arriva via mare. Discorsi d’odio strumentali che mirano ad alimentare l’intolleranza e aumentare le disuguaglianze.

Negli ultimi anni, le crisi economiche e sociali susseguitesi in Europa sono state accompagnate da una crescita esponenziale dei discorsi d’odio nei confronti di alcune categorie, classi sociali e minoranze etniche, che sarebbero responsabili della situazione di disagio socio-economico di cui soffre parte della popolazione.

Nel linguaggio comune si chiama “guerra tra poveri” ed è da sempre una tecnica comunicativa tristemente diffusa. Perché si tenta di porre in contrasto gruppi di persone ugualmente svantaggiati, in un conflitto sociale che parte dalla mancata identificazione delle reali motivazioni che portano a disagi e disuguaglianze.

In questo contesto, una delle manifestazioni più diffuse della “guerra tra poveri” è la divisione tra “buoni e cattivi” quando si parla di migranti che arrivano nel nostro paese. Se già prima del conflitto in Ucraina le distinzioni tra “migranti economici” e chi scappa da una guerra erano marcate da parte della classe politica (con il risultato di semplificare situazioni invece più complesse), dopo l’invasione russa queste differenze sono state evidenziate ancora di più.

Un migrante economico si muove dal paese di origine per migliorare le sue condizioni di vita, cercando un lavoro. Il termine viene spesso usato per distinguere queste persone da chi si sposta a causa di guerre, conflitti o persecuzioni.

A partire dall’invasione russa di fine febbraio, infatti, alcuni esponenti politici hanno utilizzato la fuga di milioni di profughi ucraini per evidenziare quanto, a loro dire, sia invece inopportuna l’accoglienza di persone provenienti da paesi dell’Africa sub-sahariana.

A marzo la Lega ha costruito una propria strategia sui social, a partire dal tweet del leader Matteo Salvini, con il fine di rimarcare la differenza tra “profughi veri” (donne e bambini ucraini) e “profughi finti”, che attraversando il Mediterraneo sbarcano sulle coste italiane.

Si tratta di concetti ribaditi anche da altri importanti rappresentanti istituzionali, come il parlamentare europeo della Lega Alessandro Panza.

In realtà, anche se volessimo assumere il fatto che sia giusto scappare da un paese solo se si è vittime di una guerra, è bene ricordare che sono numerose quelle che attraversano da decenni molti stati del continente africano. Per non parlare delle persecuzioni di tipo razziale, religioso e sessuale, o delle violenze da parte di gruppi di miliziani e paramilitari.

Basti pensare che secondo l’osservatorio indipendente Armed conflict location & event data project (Acled) sono ben 12 i paesi africani ad aver superato la soglia dei mille morti per violenze armate, dal gennaio 2021 a oggi.

Eppure negli ultimi mesi il solco tra migranti ucraini e quelli arrivati da altre aree critiche, come l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia centrale, è stato tracciato anche attraverso politiche dell’Unione europea che hanno generato alcune innegabili disparità di trattamento, generando in questo caso sì reali differenze tra chi arriva via mare e chi fugge dal paese ex sovietico.

Le peculiarità dei rifugiati ucraini

Nei primi tre mesi di guerra più di 6,5 milioni di persone hanno lasciato l’Ucraina. Tutti via terra (essendo lo spazio aereo ucraino chiuso dalla fine di febbraio) e quindi tutti almeno inizialmente diretti verso i 7 paesi confinanti.

Metà dei rifugiati (50,4%) sono andati in Polonia, il 13,7% in Romania, mentre il 13,1% si è recato nella stessa Federazione Russa. Negli ultimi due mesi, infatti, sono quasi triplicati gli ingressi di ucraini in Russia, passando da circa 350mila persone di inizio aprile alle 919mila attuali.

Sono inoltre 649mila le persone fuggite attraverso il confine ungherese (il 9,3% del totale). Seguono poi gli ingressi in Moldavia (6,7%) e Slovacchia (6,3%). Infine, poco meno di 30mila i rifugiati andati in Bielorussia.

Considerate le vaste dimensioni di questo fenomeno migratorio, a inizio marzo le istituzioni europee hanno deciso di attivare in via del tutto eccezionale una direttiva europea risalente a oltre vent'anni fa (la direttiva 55/2001), allora pensata per l'esodo proveniente dai paesi balcanici in guerra.

Da parte dell'Ue si tratta indubbiamente di un cambio di paradigma radicale rispetto ai passati approcci alla questione migratoria. Basti pensare che negli anni della cosiddetta "crisi dei rifugiati", provenienti per lo più dalla Siria in guerra e da paesi dell'Asia centrale come Afghanistan e Pakistan, è stato scelto di affidare ai paesi di approdo le procedure di asilo individuali - come accade da anni alle nazioni dell'Europa meridionale, interessate dagli sbarchi di cittadini africani - o di esternalizzare l'accoglienza a paesi terzi, come nel caso degli accordi con la Turchia per i profughi siriani.

Il fatto che cittadini extra-comunitari possano attraversare liberamente il continente alla ricerca di un riparo e di un futuro migliore rappresenta certamente un passo in avanti positivo e significativo.

Dovrebbe essere da apripista e da esempio a una profonda riforma dell'accoglienza in Ue per tutti i migranti. Come abbiamo scritto in numerose occasioni, infatti, le procedure per il riconoscimento della protezione sono complesse e rappresentano un vero e proprio ostacolo per la ricerca di un lavoro e di una stabilitàcontribuendo alla marginalizzazione sociale e di conseguenza soffiando sul fuoco acceso dal razzismo e dai discorsi d'odio.

Le differenze nel monitoraggio dei fenomeni

Le differenze tra l'accoglienza delle famiglie ucraine e del resto della popolazione migrante è evidente anche nel nostro paese, a partire dall'approccio con cui le istituzioni affrontano il fenomeno.

Infatti, se per gli arrivi via mare un importante strumento informativo è il cruscotto giornaliero del ministero dell'interno, a cui abbiamo più volte accennato anche in occasione dei rapporti annuali sul sistema di accoglienza in Italia, per la questione ucraina la protezione civile ha pubblicato una dashboard ricca e dettagliata, dove vengono monitorati flussi, richieste e caratteristiche delle persone che oltrepassano il confine.

È il dipartimento della protezione civile (che fa capo alla presidenza del consiglio dei ministri), infatti, a gestire l'accoglienza di ucraini e ucraine in Italia. A differenza dell'accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati provenienti da altre zone del mondo, sistema governato dal ministero dell'interno.

Si tratta dell'unico monitoraggio permanente pubblico sui flussi di entrata via terra (o via aereo) verso l'Italia. Il Viminale, infatti, non ha mai pubblicato i dati degli ingressi di migranti non ucraini via terra, attraverso la cosiddetta "rotta balcanica".

Sono 117.165 le persone provenienti dall'Ucraina entrate in Italia da inizio marzo fino a metà maggio, con una media di oltre milleseicento persone al giorno.

Di queste 79.172 sono adulte e le rimanenti 37.993 minori. La maggioranza (61.553) è rappresentata da donne, per via del divieto di uscita dal paese imposto dal governo ucraino agli uomini di età compresa tra 18 e 60 anni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati protezione civile
(ultimo aggiornamento: sabato 14 Maggio 2022)

Com'è evidente dal grafico, i flussi di entrata in Italia sono costanti ma hanno rallentato nel corso delle settimane. Nell'ultimo mese, infatti, solo due giorni (29 aprile e 11 maggio) hanno visto ingressi in numero superiore alla media giornaliera.

Delle quasi 120mila persone rifugiatesi in Italia, 94.015 hanno presentato la richiesta di permesso di soggiorno per protezione temporanea presso gli Uffici immigrazione delle Questure, in virtù della direttiva 55/2001 di cui abbiamo parlato precedentemente.

Si tratta anche in questo caso della stragrande maggioranza di donne (68.047), a fronte di 25.968 maschi, dei quali 75% sono minori. Sempre tramite i dati messi a disposizione dal dipartimento di protezione civile rileviamo che i maggiori volumi di richieste sono stati inoltrati nelle questure delle regioni nel nord. In particolare in Lombardia (12.258), Emilia Romagna (10.940), Veneto (8.248) e Piemonte (7.732).

Il ritorno in patria

Rispetto ad altri fenomeni migratori recenti, una peculiarità è rappresentata dal fatto che in molti, dopo essere fuggiti dall'Ucraina, fanno ritorno in patria. È il caso di molte famiglie provenienti dal centro e dall'ovest del paese, soprattutto dagli oblast popolosi di Leopoli e Kiev.

Si tratta di una dinamica impossibile da porre in essere per i migranti che provengono da paesi extra-comunitari, a meno che non aderiscano a un definitivo rimpatrio volontario.

Sebbene sui flussi di rientro non si abbiano dati disponibili per l'Italia, l'agenzia per i rifugiati delle Nazioni unite (Unhcr) stima che al 22 maggio più di 2 milioni di ucraini siano rientrati nel proprio paese. Una cifra che riflette i movimenti transfrontalieri (persino dei pendolari) e che la stessa Unhcr indica come "prematura per trarre conclusioni sulle tendenze definitive".

Tuttavia, si tratta di dati forniti dal servizio statale della guardia di frontiera ucraina. E che, con tutte le premure del caso, restituiscono un'ulteriore peculiarità di questo fenomeno rispetto ad altri flussi migratori che attraversano il vecchio continente, oltre che smentire ulteriormente il falso teorema dei "profughi finti e profughi veri". In quanto, semplicemente, si tratta di situazioni differenti per natura, di caratteristiche sociali di chi è colpito, dei paesi di provenienza e delle enormi difficoltà che ognuno incontra sulla propria strada.

Persone che, tuttavia, hanno qualcosa in comune: l'esigenza di essere accolti degnamente, per potersi costruire una vita migliore.

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